Medici Ps e 118, Simeu: serve un unico sistema di emergenza urgenza per ovviare a esodi

«Serve un unico sistema di emergenza urgenza, adeguatamente finanziato, incentivato popolato da competenze ad hoc, che abbracci sia l'ospedale sia il territorio; serve un medico di pronto soccorso che passi una parte del proprio tempo anche in ambulanza alternandosi con i colleghi; e serve attenzione alle condizioni di lavoro dei medici del Ps, perché troppi stanno andando via». Fabio De Iaco Presidente della Società Italiana di medicina di emergenza urgenza-Simeu a margine dell'apertura del Congresso nazionale della società scientifica, lascia per un attimo la disamina sugli esodi e sui loro numeri e si sofferma sulle ragioni e sulle risposte. Rispetto alla medicina di elezione, alle specialità che si praticano ai "piani alti" dell'ospedale, il Pronto soccorso oggi è popolato di medici "generici", senza titoli, di cooperative, di gettonisti, e in parallelo sono precari anche sul territorio i medici del 118. L'emergenza è residuale, anche se -con la prevenzione- riguarda livelli essenziali di assistenza basilari e salva le vite. «Purtroppo, il settore non produce DRG codificati e quindi non rappresenta una fonte di introiti per l'ospedale. Il Pronto soccorso in particolare è un'unità operativa indispensabile ma in perenne passivo, per com'è congegnata la contabilità delle prestazioni sanitarie, e costa. Quindi passa spesso in secondo piano nelle scelte».

Come cambiare le cose? «Simeu crede ci sia un passaggio culturale da affrontare per efficientare il servizio: unificare la medicina e chirurgia di emergenza ospedaliera e quella pre-ospedaliera, cioè il 118. L'emergenza è una sola, l'unica differenza è di "sede" e, talora, di strumenti disponibili, ma l'infarto, ovunque accada, è sempre lo stesso, e il golden standard prevede che gli attori siano sempre gli stessi: infermieri, medici, soccorritori. Da questo discende la necessità di una copertura adeguata di tutte le aree perché in nessuna parte di un paese può essere negato il servizio di emergenza; e per offrire risposte anche ad aree disagiate, possono in qualche caso passare paradossalmente in secondo piano dei "totem" pur validi della nostra sanità, come la necessità di tenere aperti solo pronti soccorso con elevati afflussi e casistiche; se in Sardegna la popolazione è sparsa e le distanze sono siderali, un Pronto soccorso serve, anche se "mini" per gli standard nazionali. E richiede personale competente».

In parlamento c'è una decina di disegni di legge di riforma dell'emergenza, tutti in itinere... «Sì, e tutti prendono di petto questo tema. Ma non tutti remano nella stessa direzione; alcuni seguono il nostro pensiero secondo cui serve una preparazione uniforme del personale sanitario e soccorritore sia nei pronti soccorso sia sul territorio, e le emergenze vanno gestite da attori con preparazione adeguata ovunque si manifestino. Da qui discende che i sanitari dovrebbero distribuirsi in numero calibrato alle singole realtà e con competenze mirate alle tipologie di intervento e alle loro frequenze, secondo criteri organizzativi determinati da linee guida scientifiche. Altri Ddl sono più basati sull'esistente, sul fatto che ad esempio nel territorio ci sono molti medici convenzionati e hanno una loro storia diversa dai medici di Ps e vorrebbero mantenere la loro specificità oppure sulla necessità di preservare incarichi di medici ed infermieri, nonché ruoli e distinzioni. Noi crediamo che questo secondo pensiero non venga incontro alle necessità concrete del paziente in emergenza, lo abbiamo anche detto alla Federazione degli Ordini dopo un'audizione parlamentare del Presidente Filippo Anelli, e ci battiamo con SIEMS, SIIET, COES, Anpass, CRI, Misericordie, perché tutta Italia sia coperta da combinazioni di competenze efficaci e perché il sistema di emergenza-urgenza non sia più residuale per il Servizio sanitario nazionale. Sul PNRR in realtà non contiamo più di tanto: servirà a costruire muri intorno alle professioni sanitarie del territorio e noi abbiamo bisogno di abbatterli, i muri».

Che svolta segna il Congresso Simeu aperto ieri? «Siamo in circa 1200 e stiamo cercando di condividere il nostro pensiero con tutti gli attori del sistema, inclusi gli anestesisti rianimatori. Vogliamo anche dire a Regioni, Asl, Ospedali, Ministero che le dimissioni in massa per via di situazioni ingestibili in molti Ps sono un fenomeno grave ma c'è uno zoccolo duro di medici che resiste, crede nel SSN, ha proposte da fare per la specializzazione in emergenza urgenza, e per mantenere "appetibile" l'attività in strutture dove oggi i bandi vanno deserti. Oggi chiediamo in particolare un sistema fatto di operatori che parlano la stessa lingua. Sottolineo due elementi cui tengo. Primo, il principio per cui i cosiddetti codici a bassa priorità sono aprioristicamente da considerare accessi inappropriati è sbagliato: il sistema EU deve saper lavorare sul "codice verde", che alla fine è il paziente meno banale, è il classico mal di stomaco di lunga data che cela un infarto inatteso e quindi dovrebbe evitare di smistare rapidamente, burocraticamente a forme di presa in carico più "leggere"; per un sistema di emergenza urgenza efficiente però, aggiungo, serve anche che gli attori si parlino costantemente, che tra pronto soccorso, ambulanza, centrale operativa la preparazione e l'articolazione organizzativa sia omogenea, che non sia più consentito avere all'altro capo del telefono un collega inconsapevole di procedure e condizioni organizzative degli ospedali di destinazione».

Mauro Miserendino

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